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Il ritratto maschile

Quando si parla di ritratto generalmente si affronta l’argomento partendo dalla posizione delle luci e poi si dà una dimostrazione pratica.  99 volte su 100 la pratica si fa con una modella. Non ho mai capito perché.

Io non ho nulla contro le modelle in sé, ci mancherebbe, ma didatticamente è troppo facile fotografare una persona che sa perfettamente come muoversi davanti a un obiettivo e che viene bene anche se la fotografa un autovelox.

Quello che sto dicendo è che si impara poco. C’è poi la trappola psicologica: se ti mostro foto di una bella ragazza, tu, fotografo che vuoi imparare, sarai istintivamente persuaso che facendo quel corso o comprando quella lente/fotocamera/modificatore, riuscirai automaticamente a produrre immagini che funzionano e non ti accorgi che l’immagine funziona perché, in fondo in fondo, ti piace prima di tutto la modella.

Inoltre, la realtà è molto più grande, varia e inclusiva di così e dovremmo imparare pure noi fotografi ad esserlo.

Se noi ci limitiamo alle donne in generale, ci perdiamo un 50% della realtà. E del mercato. Allora, qui mi concentrerò su gli uomini, perché per fotografare bene gli uomini occorre fare delle scelte stilistiche ben precise. Cioè: fotografare un uomo non può essere uguale a fotografare una donna.

E non può non essere così! Si parte dalla forma del viso: generalmente il viso degli uomini è più squadrato, ricco di imperfezioni e scavato.

La buona notizia è che queste imperfezioni del viso molto spesso ci aiutano a raccontare un soggetto in maniera efficace, se noi sappiamo usarle a nostro favore.

Pensiamo ad esempio alle rughe: generalmente sono temute dalle donne ma nel caso degli uomini, in foto, donano carattere e fascino.

Spero di averti dato un’idea, già con queste poche righe, delle differenze che intercorrono tra uomo e donna quando si tratta di ritratto e particolarmente quando andiamo a scattare un primo piano.

Allora in questo articolo parlo dell’ultimo ritratto in studio che ho realizzato, con Michele.

Condivido volentieri il set up utilizzato per questo scatto.

Dopo aver osservato il viso di Michele, ho deciso di accentuare sia gli zigomi, sia la barba e il piercing, usando due luci, come spesso mi accade e un pannello riflettente. Questo perché avevo un look molto moody in mente e volevo controllare al millimetro luci e ombre.

La luce principale è il Joel Grimes Beauty Dish della Westcott in posizione loop, con una griglia per orientare la luce sul viso (qui in foto mi sono sostituito io); la luce di riempimento delle ombre sul viso è un ombrello con interno argentato e diffusione da 180 cm posto a sinistra del modello (se ti interessa, se ne trovano di vari brand su Amazon: vanno bene tutti!). Ho usato questa seconda luce anche per accentuare un po’ lo sfondo (i mitici backdrops della Fine Art Backdrop che purtroppo non sono ancora disponibili in Italia).

Ho agggiunto un pannello riflettente sotto il viso di Michele per risaltare la sua barba bellissima. Dopo un paio di test della luce e una chiacchierata con Michele per aiutarlo a capire come muoversi, abbiamo raggoiunto la foto che avevo in mente in 5/10 minuti circa.

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Screen Shot 2023-02-02 at 3.07.52 PM.png Screen Shot 2023-02-02 at 3.08.11 PM.png

L’immagine è stata scattata con una Fujifilm gfx 100s e un gf 110mm f2 @ f4

Qui ho riportato il raw dell’immagine assieme a una prima lavorazione in Capture One: come vedi, non ho fatto cambiamenti all’originale: cerco di catturare l’immagine quanto più possibile in camera!

Una volta soddisfatto del lavoro in C1, sono passato su Photoshop per ripulire un po’ il viso: ho tolto qualche bolla o imperfezione, dato un po’ di calore e poco altro.

Ecco il risultato finale!

Sono molto contento del risultato! Michele non è un modello e non sa propriamente posare ma sa comunicare, perché è un essere umano. Gli ho chiesto solo quello: comunica un’emozione. Il resto è venuto da sé.

Non dico di buttare vie le modelle -perché mai?- ma non limitiamoci soltanto a loro! Tutti -tutti!- abbiamo bisogno di comunicare e di comunicarci e niente come la fotografia permette di farlo in maniera così personale, letteralmente mettendoci la faccia.

Tu hai il compito bellissimo di fare in modo che questa magia accada.

tags: Fujifilm, Ritratto, Ritratto fotografico, Ritratto maschile
Thursday 02.02.23
Posted by Marco Mulattieri
 

Sony Zeiss Sonnar 55 f 1.8 - Che (piccola) meraviglia!

(foto di Valentina)

Recentemente, ho (ri)cominciato a scattare con il sistema Sony, affiancato alla Fujifilm.

A essere onesti, è mia moglie a usarlo. Trovandomi sempre più nel settore matrimonialista, pensavo che una macchina full frame avrebbe incrementato la qualità del nostro lavoro, quindi ho investito in quella che credo fosse la camera perfetta per il genere, al momento, la Sony A74, accompagnata da due lenti: il Sony 35 GM 1.4 e la lente di cui parlerò in questo articolo, il Sony Zeiss 55mm 1.8.

Questa, più che una recensione, vuole essere una impressione sul campo, da parte di uno che di lenti ne ha usate un bel po’.

Partiamo dai miei criteri di valutazione: quando scelgo una lente, mi oriento in due direzioni completamente diverse: o la portabilità a scapito della qualità (lenti leggere, comode da portare in giro, generalmente economiche ma non troppo luminose) o la qualità di immagine (che significa lenti pesanti, costose e scomode ma assolutamente sensazionali per ciò che producono).

E se invece di scegliere una direzione o l’altra, potessi avere entrambe le cose? Esiste una lente leggera ed economica ma allo stesso tempo luminosa e di qualità assoluta? Finora, avevo sempre creduto che il compromesso migliore lo offrisse la Fujifilm.

La tridimensionalità delle immagini prodotte da questa lente è incredibile!

Le lenti xf della Fujifiilm sono tutte disegnate con la portabilità in mente ma non risparmiano sulla qualità di immagine. Sono lenti davvero fantastiche. Ma sono lenti per apsc e a qualche livello, lo si percepisce. Si perde un po’ di tridimensionalità, di nitidezza, di “pop” dell’immagine, di colore e di velocità di messa a fuoco.

La magia della Fujifilm è in questa combinazione di portabilità e qualità.

Eppoi, un giorno d’estate, ho “scoperto” il Sonnar 55 fe. Scrivo “scoperto” tra virgolette perché avevo sempre sentito parlare di quella lente e avendo già provato diverse lenti Zeiss, sapevo cosa aspettarmi. Ma non mi aspettavo di amarla così tanto.

Il Sony Zeiss 55 f 1.8 unisce la portabilità Fuji, senza i piccoli compromessi della qualità di immagine di un sensore apsc. E’ leggerissimo (credo sui 280 grammi), però la qualità è senza compromessi. E’ nitido come una lama, ha un microcontrasto, una tridimensionalità, che ricorda le lenti medio formato e ha carattere di una lente “classica”, vintage, con quelle imperfezioni che le rendono uniche. Non solo. L’autofocus è velocissimo e super accurato (non ai livelli di un GM ma è comunque anni luce avanti ala maggior parte delle lenti Fujifilm). Inoltre, la focale è davvero versatile, soprattutto per gli eventi, ma anche per ritratti in studio e street photography.

La ciliegina sulla torta è il prezzo davvero accessibile: usata, in ottime condizioni, non supera le 550 euro. Per la qualità assoluta della lente, è un prezzo davvero super-accessibile!

Credo che il Sony Zeiss 55 sia sul podio delle mie lenti preferite. Ma ha qualche difetto?

Foto di Valentina

Non nel senso canonico: un difetto potrebbe essere che fa tutto bene ma nulla in maniera sbalorditiva.

Non è super luminoso (f1.8 non è f 1.2) non è veloce e accurato come un GM, non ha bokeh pittorico, non è ipercorretto e presenta imperfezioni in particolari situazioni di luce. Insomma: è una lente che mostra i segni del tempo e potrebbe sembrare soltanto “buona” o superata.

Tuttavia, secondo me questa somma di “imperfezioni” non la rendono una lente peggiore: le donano carattere, la rendono unica.

Per concludere, questa è una lente che raccomando davvero a chiunque possieda un sistema Sony. Se poi sei nel settore matrimonio/eventi, allora devi assolutamente prenderla in considerazione!

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tags: Sony, Zeiss, Sonnar, 55mmf1.8, Matrimonialista, Recensione, Fotografia
categories: Fotografia, Photography
Tuesday 12.27.22
Posted by Marco Mulattieri
 

Consigli di post-produzione - La Color Correction

Quando guardo fotografie in rete, molto spesso mi capita di notare scatti potenzialmente molto buoni, rovinati da una cattiva post produzione. Qualche volta il problema sta in un uso eccessivo di Photoshop o nella gestione dell’esposizione, ma la maggior parte delle volte, quello che noto sono i colori davvero poco accurati.


Credo che la causa principale sia da ascrivere a un uso indiscriminato di filtri, senza nessun tipo di “bilanciamento del bianco” apportato né prima, né dopo aver applicato i filtri. In pratica si confonde la color correction con la color grading, affidando l’intera post produzione a un semplice “click”.

Non ho nulla contro i filtri, sia chiaro. Li uso pure io, da anni. E se da un lato capisco il bisogno di ottimizzare i tempi e mi ritrovo spesso con la necessità di “automatizzare”, non mi esento mai dal preparare tutte le mie foto, bilanciandone i colori. Tutte. Le. Mie. Foto. Una per una.

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Cristina e Marco Matrimonio tempio e ristorante 59.jpg Cristina e Marco Matrimonio tempio e ristorante 36.jpg Cristina e Marco Matrimonio tempio e ristorante 61.jpg Cristina e Marco Matrimonio tempio e ristorante 2.jpg

Sì perché è impossibile pensare che un filtro funzioni su ogni nostra immagine allo stesso modo. Facciamo un esempio con un matrimonio: si comincia, di solito, in situazione di luce, nei pressi di una abitazione e si finisce, di solito, che è notte, molto spesso all’aperto, o in un ristorante. Già questo fa capire benissimo che le immagini scattate all’inizio saranno necessariamente diverse da quelle scattate la notte. Se io appiccicassi lo stesso filtro a tutte le immagini, senza averle prima sistemate con esposizione e bilanciamento del bianco, farei davvero un disastro!

Va bene avere uno stile, anzi, DEVI avere uno stile. Ma lo stile deve tener presente il contesto, altrimenti sarà difficilissimo che il tuo stile funzioni; l’impressione che darai è che “sai fare solo quel tipo di foto”. No bueno!

Ecco, un fotografo che sviluppa bene i suoi scatti lo riconosci da questo aspetto semplice: le sue foto funzionano sempre, perché osserva quello che ha davanti e sviluppa a partire dal contesto. Che scatti un interno, un ballo di gruppo, o un ritratto in studio, un bravo fotografo edita in maniera efficace i suoi scatti. E non è nemmeno troppo difficile. Basta rispettare le due fasi di color correction (che altro non è che un bilanciamento del bianco fatto per bene) e color grading.

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Ugo e Cristina finali VI 83.jpg Ugo e Cristina IV 47.jpg varie.jpg varie 74.jpg

Prima di qualunque altra modifica alla foto, io ti consiglio di concentrarti sulla color correction. E’ quella la base di una ottima post produzione. E fondamentalmente significa eliminare tutti i colori “strani” presenti nelle foto e che provengono da luci e o riflessi “strani”.

Se tu scattassi in studio e facessi foto di prodotto, utilizzeresti una grey card per il bilanciamento del bianco, in un ambiente dai colori neutri. Ma se stai leggendo questo post, probabilmente non fai foto di prodotto e la location della tua ultima sessione fotografica non è una sala pose, quindi ti tocca ricorrere al bilanciamento del bianco in post produzione.

Niente paura. Si possono ottenere ottimi risultati.

C’è solo una condizione fondamentale, perché tutto questo avvenga:

Scatta in Raw.

Se non scatti in Raw, non c’è modo di aggiustare i colori in post produzione. Questa è in assoluto l’unica regola che abbiamo.

Allora, se hai scattato in raw e hai importato le tue foto in Lightroom o Capture one, la PRIMA cosa da fare è… farti una domanda. Chiediti se i colori che stai vedendo assomigliano ai colori che hai visto lì nella realtà. E se la risposta è “più o meno” (perché in genere la risposta è quella), vai sugli slider di temperatura e tinta e comincia a muoverli fino a che i colori non ti sembreranno “giusti”. In genere ogni modello di fotocamera ha un suo modo specifico di catturare i colori. Il tuo primo compito, come “sviluppatore”, è quello di aggiustare i colori in modo che sembrino più vicini possibile alla realtà. In genere, una immagine può presentare una sfumatura verso il blu o verso il giallo, il verde o il viola (o anche più sfumature in diverse parti dell’immagine). Ecco, quando hai corretto il colore di una immagine, questa sfumatura di colore sparisce. C’è un metodo scientifico per raggiungere un buon bilanciamento del bianco: si usa come riferimento all’interno dell’immagine un colore bianco o grigio (se c’è!): ci passo sopra il “color picker” nel pannello del WB e se i valori numerici che vengono sono molto vicini, allora clicco e l’immagine si bilancia da sola.

Nel tempo, l’occhio si abituerà al WB e potrai praticamente trovare autonomamente il WB, semplicemente muovendo gli sliders a intuito (a patto che tu abbia un monitor calibrato!) Quando sviluppo foto di matrimonio e vedo che il bianco del vestito da sposa è “veramente bianco”, allora so che ho fatto un buon lavoro. Una volta trovato il WB di una foto, generalmente lo copio-incollo su tutte le altre foto scattate nella stessa location. Dopodiché, me le riguardo una per una e faccio le modifiche del caso.

Per questo, penso che l’approccio migliore sia quello di suddividere le foto in blocchi, a seconda delle condizioni di luce e colore presenti, e post produrre in maniera uniforme ciascun blocco di foto, ciascuna location, insomma.

Tutto questo procedimento viene generalmente chiamato “color correction”, ed è il passo prima della ben più famosa “color grading”, detta anche “la color”.

La differenza tra i due momenti è che la color correction prepara il terreno per il “grading”, che dovrebbe essere molto meno invadente. La color grading semplicemente aggiunge un aspetto emotivo ed estetico alle immagini: le rende uniformi, piacevoli, artistiche, se vogliamo. E nulla vieta che i colori vengano stravolti, se vogliamo dare un forte impatto emotivo alle nostre immagini.

Il problema è un altro, e nasce, secondo me, quando si confondono color correction e color grading.

Usare un filtro sulle immagini significa prendere il bilanciamento del bianco già per buono. Che può succedere se si scatta in studio ma, in situazioni non-controllate, è abbastanza raro.

Il procedimento invece, richiede due momenti diversi e successivi, come spero di aver dimostrato in questo piccolo articolo. Rispettare questi due passaggi può davvero migliorare di molto il look delle tue foto!

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Tre bonus tips per i più esperti:

1) Se usi più camere nello stesso contesto, dovrai correggere il WB di ciascuna camera autonomamente. Una delle fotocamere Fujifilm che uso, ad esempio, produce immagini molto più “verdi” delle altre. Quasi sempre, per uniformare gli scatti, mi trovo ad alzare di +3 lo slider della tinta: facendo così, i colori di tutte le mie Fuji diventano pressoché identici. (Ripeto: sto parlando della stessa azienda che usa una color science che dovrebbe essere identica per ciascuna fotocamera!)

2) Togli il bilanciamento del bianco automatico dalla fotocamera, mentre scatti. Non è un aspetto fondamentale. Trova magari un minuto per aggiustarlo personalmente: la camera manterrà le impostazioni che le dai. Questo ti aiuterà a vedere le cose in maniera più organica sia in fase di scatto, sia in post produzione.

3) Usa un monitor adatto allo sviluppo. I monitor dei nostri computer, anche dei più costosi, non possono competere con l’accuratezza di un monitor professionale. Se proprio non puoi permetterne uno (e ci sta, perché costano!), pensa magari a  mettere in conto l’acquisto di un dispositivo per calibrare il tuo monitor (hanno un prezzo molto più accessibile!).

tags: Editing, White Balance, Bilanciamento del Bianco
categories: Photography
Wednesday 08.03.22
Posted by Marco Mulattieri
Comments: 1
 

2) Foto belle o comunicative? Davide

“La cosa più brutta che possano dirmi riguardo a una mia foto è che sia bella. Una foto non deve essere bella, deve essere comunicativa”. (Joe McNally)

Siccome non si finisce mai di imparare, domenica, mentre l’Italia si giocava l’Europeo, io documentavo un evento. Uno dei partecipanti, Davide, non passava inosservato per l’altezza notevole e il completo blu elettrico e il capello lungo. Questo lo devo fotografare assolutamente, mi sono detto.

Ho pensato subito a come rappresentarlo al meglio, gli ho chiesto di venire con me, di posare qui e di fare così e così con le mani. Bum, fatto. La luce era un po’ debole, ma sapevo che la foto sarebbe uscita comunque “bella”.

Poi però lui ha preso la situazione in mano: “adesso facciamola cosi’”, si è messo in ginocchio e ha sollevato le gambe più o meno a due metri, con una naturalezza che a me non verrebbe neppure agganciato a una gru. La luce era sempre debole, ma questa volta la foto non era solo “bella”; era una foto comunicativa.

Davide è giovane, è un ballerino, è forte, ha una personalità esuberante e questa foto lo dice.

Fossi rimasto chiuso nel mio mondo di luci, diaframmi e pose, non avrei mai colto Davide per quello che è.

Fortuna che è stato lui stesso a “svegliarmi” e a ricordarmi che la fotografia non si fa con la teoria e che una foto non deve essere bella, ma, prima di tutto, deve comunicare qualcosa.

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Tuesday 07.20.21
Posted by Marco Mulattieri
 

1) Foto belle o comunicative? Sara

Nel precedente post, scrivevo come preferissi scattare con persone con poca esperienza, così da potermi esercitare nel dirigere la persona che ritraggo.

Con Sara il problema è stato opposto: Sara è progettata per venire bene in foto. E’ talmente brava a posare che diventa difficile scegliere cosa fare, perché viene sempre bene. A me però non interessa solo che una persona “venga bene”, quanto che la foto comunichi. Per questo ho chiesto a Sara non di “posare per me”, almeno non all’inizio, ma di “fare cose”. Probabilmente avrò un po’ sorpreso pure lei, ma è stata bravissima e non ha mai sollevato obiezioni: una scala tremolante, un telo di plastica addosso, uno specchio da tenere per minuti e minuti, la terra dei campi di mais, non le ho risparmiato nulla. Sara non ha battuto ciglio e è stata impeccabile ogni volta!

Abbiamo scattato per circa tre ore (volate) con una incursione di Valentina, che mi ha rubato la camera e scattato anche lei un po’. È stato molto faticoso, ma ne è valsa la pena!

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Tuesday 07.20.21
Posted by Marco Mulattieri
 

Personalità davanti alla camera: lo shooting con Luca F.

Come ogni passione o attività, la fotografia è per 10% predisposizione naturale e 90% pratica.

Cartier Bresson diceva che le prime foto belle si cominciano a vedere più o meno dopo i primi 10000 scatti. E lui scattava a pellicola. Oggi, grazie al digitale, “allenarsi” è diventato molto più facile e immediato.

Se posso, scatto con una persona nuova almeno un paio di volte al mese, e cerco di provare schemi di luce diversi ogni volta.

In genere non scelgo modelli/e, per il semplice fatto che voglio “alzare l’asticella” della difficoltà. Per me, il vantaggio di scattare con i modelli/e non è nell’aspetto (tutti siamo interessanti e degni di essere fotografati) ma “solo” nel fatto che si sanno muovere bene; sono abituati/e alla camera, reggono bene “l’ansia da prestazione” e rendono tutto il processo fluido.

A me interessa la gente che non ha mai posato, che va in ansia da prestazione, che non sa come mettersi. Perché lì “ci si fanno i muscoli”.

Dopo qualche anno di esperienza, mi pare che si possano definire tre tipi di personalità, davanti alla camera:

1) alcuni hanno bisogno di essere “posati”, gli fai fisicamente vedere cosa fare e loro lo fanno; perché vanno in apnea. Non hanno generalmente piacere a farsi fotografare (io appartengo a questi), o ne hanno troppo

2) Altri sono più attori, seguono gli “stati d’animo”: piuttosto che posarli, rendono meglio se gli dici cosa provare (Valentina è un esempio clamoroso, in questo senso)

3) Il terzo gruppo di persone sono i bambini: i bambini basta lasciarli essere se stessi e faranno tutto loro. Anche se è inutile sperare di tenerli fermi

Non so se Luca avesse mai posato prima, ma sembrava estremamente a suo agio, davanti l’obiettivo. Con lui ho scelto l’approccio “da attore”, è quello che funzionava meglio.

L'ho incontrato mesi fa per caso, a Latina. Gli ho chiesto di fare qualche foto prima ancora di chiedergli il nome. E' proprio un tipo dal look interessante! fE dopo mesi di attesa, finalmente siamo riusciti a scattare!

Piuttosto che “posarlo”, ho notato che era particolarmente "ricettivo" agli stati d'animo e durante lo shooting gli ho semplicemnte detto "cosa sentire", per convertire quell'emozione in immagine.

Luca è stato sorprendentemente bravo: non era minimamente intimorito da tutto quel muro di luci, modificatori e stativi che ho tirato fuori!

Sono molto contento del risultato!

Grande Luca!

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Tuesday 07.20.21
Posted by Marco Mulattieri
 

Professionale ma anche ironico

Un paio di settimane fa, mi ha chiamato la mia odontoiatra, la dottoressa Di Mambro. Pensavo fosse ora di controllare lo stato dei denti, e invece no: lei e il suo staff avevano bisogno di nuove foto per il loro sito web!

“Voglio qualcosa di professionale ma anche ironico, come sai fare tu”.

Lo staff della dottoressa è nutrito e tutto al femminile: ho proposto, allora, di realizzare, da un lato, qualcosa di classico, sfondo bianco e camice, affiancato da qualcosa di più elegante, con vestiti da sera e… strumenti da lavoro.

Professionale e ironico, come da richiesta.

Sono molto contento del risultato, e anche lo studio medico ha apprezzato! Ecco alcuni scatti

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Tuesday 07.20.21
Posted by Marco Mulattieri
 

Il "fondo luminoso" (Come creare uno sfondo bianco)

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Ultimamente mi capita spesso di parlare con persone che cercano foto su sfondo bianco o che vogliono comprarne uno, magari su Amazon. Sembra così facile che quasi lo si da’ per scontato: se vuoi uno sfondo bianco, trova una parete bianca e boom, fatto. E’ capitato pure a me, all’inizio, di pensarla così semplice. Partivo con le migliori intenzioni, una bella foto alla Oliviero Toscani, di quelle con lo sfondo immacolato: e invece mi ritrovavo con qualcosa che sembrava uno sfondo panna o, alla peggio, con sfumature colorate. 

Che ci crediate o no, questo è uno sfondo “bianco”, prima di venire illuminato dal flash che ho dietro la schiena.

Che ci crediate o no, questo è uno sfondo “bianco”, prima di venire illuminato dal flash che ho dietro la schiena.

Ci ho dovuto sbattere un po’ la testa ma alla fine ho capito il problema. Così ho scritto queste righe come guida a chi, come me, ha cercato invano lo sfondo bianco. E prima ancora di spiegare come ottenerlo, ti dico subito che farlo col telefonino potrebbe essere complicato (non impossibile, ma più difficile di quanto sembri).

Anzitutto spieghiamo perché è così difficile ottenere il bianco puro in un ritratto: cercherò di essere meno nerd possibile! E prima di addentrarci nella spiegazione, per “corredare” l’articolo ho dovuto fungere pure da modello. Non il massimo della vita, ma questo passava il convento :D

Le camere, appena nate, non vedono a colori: vedono luce in forma di sfumature di grigio. Dal nero pesto al bianco della accecante, e tutte le sfumature che ci sono in mezzo. Ma sfumature di grigio, non di altri colori. 

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La capacità di registrare i colori avviene, in un secondo momento, grazie a filtri di tre colori diversi (rosso, verde e blu) disposti a mosaico sopra il sensore. Quando la luce entra attraverso la lente, colpisce il sensore e ricrea i colori della realtà nella foto. È una funzione simile a quella degli occhiali 3D al cinema. (Passami l’analogia)

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Ecco, ora torniamo pensiamo al nostro sfondo bianco. La camera non lo percepirà uniformemente bianco, come lo vediamo noi, ma come un “segnale luminoso” che passa attraverso questo mosaico di filtri colorati da interpretare nella maniera più fedele possibile. 

La domanda è: quanto è luminoso, di suo,  un muro bianco? Ovviamente, dipende tutto da quanta luce riflette! Se ci batte il sole, tanto! Se si trova all’ombra, pochino. La macchina fotografica è stupida, e non lo sa cosa sta fotografando, quella scatta e basta: se gli fai fotografare un muro bianco quella ragionerà sempre in termini di grigio e ti restituirà un muro più o meno luminoso a seconda di quanta luce riflette. A questo punto avrai capito dove sto andando a parare: se vuoi uno sfondo bianco… lo devi illuminare! E lo devi illuminare per conto suo! Sì perché, una volta che raggiungi il bianco, in termini fotografici, non ci sono più informazioni luminose, non c’è più nulla, c'è soltanto bianco: il bianco puro è il punto di non ritorno dell’istogramma. 

Quindi cercare un muro illuminato dal sole e metterti di spalle a quel muro potrebbe non essere una soluzione efficace (cioè il muro sarà sicuramente luminoso, ma pure la tua faccia sarà una lampadina).

Per quanto possa suonare paradossale, il bianco non è un colore naturale, per un sensore. Proprio così: il colore che più di tutti esprime la semplicità e la naturalezza, in fotografia è forse il colore più complesso da gestire.

Quindi, ora che abbiamo capito che le nostre camere cospirano contro di noi per rovinarci gli sfondi immacolati, ci basterà illuminare lo sfondo con 1,21 gigawatts di luce per ottenere il bianco etereo, vero? Ehm, no, nemmeno questo. Mi spiace guastare la festa ma c'è un altro problema: se la luce colpisce in maniera diretta l’obiettivo, quella luce comincia a rimbalzare a caso sui vetri della lente e a mangiarsi i contrasti (te l’ho spiegata alla “volemose bene”, ma alla fin fine è così); in gergo tecnico lo chiameremo flare: il flare è luce che rovina l’immagine. E’una luce poco collaborativa, incazzata, che a volte non può essere addomesticata.. 

Qui il flare s’è mangiato  parte dello zigomo e dei capelli di Valentina, sulla sinistra. Avevo proprio esagerato con la potenza dei flash! Per eliminare un po’ di flare, ho spinto ombre e neri a palla, e ho perso dettagli nei capelli sulla destra! …

Qui il flare s’è mangiato parte dello zigomo e dei capelli di Valentina, sulla sinistra. Avevo proprio esagerato con la potenza dei flash! Per eliminare un po’ di flare, ho spinto ombre e neri a palla, e ho perso dettagli nei capelli sulla destra! Quanti problemi!

Allora, ricapitolando: se c’è poca luce sullo sfondo bianco, la camera lo farà diventare un grigiastro pallido; se ce n’è troppa ed è diretta, la camera non ci capisce più nulla e si mangia i contrasti: come la vinciamo ‘sta guerra?

Non preoccuparti: non ti do una, ma tre soluzioni! 

1) La prima soluzione è di sparare una luce (tipo un flash) sul fondo bianco, facendo attenzione che la luce non raggiunga il tuo soggetto: per capire se lo stai facendo bene, si dovrà vedere solo la silhouette della persona/cosa che stai fotografando, senza contaminazione dalla luce proveniente da dietro, senza parti visibili. Sagoma nera su sfondo bianco. Va da se’: ci vuole una luce potente e ben distribuita: se ci provi con una ring light, è probabile che non uscirà, è troppo debole! Se disponi di due luci identiche, prova a metterle parallele, sui due lati, puntate sullo sfondo, poi osserva il risultato: se il fondo luminoso è bianco, perfetto! Se ci sono delle parti più scure e altre più chiare, prova a muovere le luci fino a raggiungere una illuminazione che sia uniforme (è la cosa più importante!). Se proprio non funziona, vai alla terza soluzione, qui sotto!

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2) La soluzione numero due è ancora più semplice, ma ti serve un qualche modificatore di luce (aka softbox, octabox, ombrello etc): invece di puntarlo sullo sfondo bianco, usa quello stesso alle spalle del soggetto come “parete” e scatta! Tutto qua! È una tecnica semplicissima e che personalmente uso spesso, cercando di fare attenzione al famigerato flare. Perché è facile che capiti. E comunque abbiamo dei rimedi a disposizione: per evitare che il nostro soggetto comincia a essere divorato dalla luce, si potrà:

  1. Abbassare la potenza del flash,

  2. Allontanare il soggetto dallo sfondo

  3. Usare dei pannelli neri per isolare il soggetto dallo dalla luce che viene dallo sfondo

  4. Mettere il paraluce alla lente

  5. Tutte i punti esposti qui sopra contemporaneamente.

Qui Manuel aveva un flash piazzato proprio alle sue spalle!

Qui Manuel aveva un flash piazzato proprio alle sue spalle!

3) La terza soluzione è forse la più sicura ma (un grande ma) richiede un po' di post-produzione, cioè ti tocca usare Photoshop o qualche software che sia capace di manipolare le immagini. La manovra è piuttosto semplice: ti basterà tranquillamente scattare con un fondo che non sia completamente bianco ma luminoso, e sostituire in seguito il nostro sfondo con un livello di bianco in photoshop e mascherare via il volto del nostro soggetto: è una manovra che richiede pochissimo sforzo e produce grandi risultati. Perché è la soluzione più sicura? Perché non ci saranno rischi di flare e perché le maschere di Photoshop possono essere aggiustate al millimetro. Ecco un esempio!

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Come potete notare, ottenere uno sfondo bianco uniforme e pulito non è affatto facile. Se la spiegazione vi ha spaventato un po’, o se non c’avete capito molto, è normale, all’inizio! Come tutte le cose, è questione di un po' di pratica e pazienza. Vale la pena tentare di padroneggiare questa tecnica, perché è un look molto richiesto e apprezzato, sia per immagini professionali, sia per immagini più casual. 

Una volta capito come ottenere uno sfondo bianco, avrete una tecnica utilissima a vostra disposizione!

Friday 04.16.21
Posted by Marco Mulattieri
 

Tre consigli per cominciare con i ritratti

Ho deciso di approfittare del blocco imposto dal nostro governo per scrivere qualcosa di più rispetto al mio lavoro di fotografo.

Io sono un ritrattista; è quello che mi piace di più, è quello che mi viene di fare quando afferro una camera. Negli anni ho sviluppato un po’ di esperienza in questo ambito: questi sono una serie di consigli per chi vuole specializzarsi nello stesso genere e, magari, ha appena cominciato.

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Esplorate ogni apertura

È una grande tentazione quella di scattare all’apertura più estrema che la nostra lente ci consenta e i produttori di lenti lo hanno capito benissimo: negli ultimi mesi vedo uscire sempre più lenti velocissime (f 1.2; f 1; f 0.95) e tanta gente eccitata dalla possibilità di ottenere sfocati morbidissimi nei propri ritratti e un effetto molto tridimensionale nelle proprie foto.

È una trappola in cui caddi pure io: è molto comodo settare la lente ad f 1.4 e scattare valanghe di foto burrosissime: piacevano a me, piacevano ai soggetti che ritraevo. L’unica controindicazione era che le mie foto erano identiche a quelle di centinaia di altri fotografi. Non tanto nei soggetti o nelle pose, quanto nelle intenzioni. Quando cominciai a studiare un po’ più da vicino la ritrattistica, notai che i miei fotografi preferiti scattavano ad aperture che per me erano impensabili: f 5.6; f 8.

Nel tempo, cominciai a capire perché e a “chiudere” sempre più gli stop: un giorno, questa mia transizione trovò il giusto riconoscimento: mi trovavo in un negozio di abbigliamento vintage a Cincinnati, dove vivevo fino allo scorso anno. La titolare mi parlava di organizzare uno shooting per i suoi abiti. Mi disse che aveva scelto me perché nelle mie foto si vedeva tutto, soggetto, abiti e sfondo, e non soltanto la faccia dei soggetti.

Ed è proprio questo il senso: non consideriamo le facce dei nostri modelli come l’unico punto di interesse. Abbiamo un intero frame da riempire con colori, linee e forme: usiamolo. Mettiamolo a fuoco. Da ogni angolazione possibile. Ad ogni apertura possibile. F 1.4 come f 8. Non c'è niente di male a scattare ad f 1.4. A patto che quello non sia l’unica stile fotografico che conosciamo. Perché quelle foto che ci sembravano cinematografiche e professionali, le saprebbe fare chiunque, prendendo la vostra camera in mano.

Se una cosa è troppo facile, la faranno tutti. Sei d’accordo, no?

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Cercate di “leggere” la foto

Esporre correttamente una foto non significa fare “centro” sull’esposimetro. Ti rivelo un segreto: io non ce l’ho nemmeno l’esposimetro, sul mio display. Sarebbe solo una distrazione o, alla peggio, un elemento fuorviante. Molte delle camere odierne sono dotate di EVF, che permettono di “leggere” all’istante l’esposizione dell’immagine. Le vecchie reflex fanno lo stesso dal loro schermo sul retro. Insomma: la tecnologia odierna ci permette di cogliere all’istante  l’accuratezza della nostra esposizione. Che non significa che è tutto illuminato e perfettamente leggibile. Esporre bene la foto significa avere la luce dove la vogliamo e avere le ombre dove le vogliamo. E quello non si potrà ottenere grazie all’esposimetro della camera: si tratterà di scattare e osservare quello che abbiamo ottenuto, chiedersi cosa vada bene e cosa no. Ogni singolo punto dell’immagine è totale responsabilità nostra. L’unico strumento che possiamo utilizzare in aiuto all’anteprima delle nostre immagini, sarà l’istogramma, che le camere odierne generalmente forniscono abbinato agli scatti realizzati.

Una volta che la nostra immagine è ben esposta nelle luci, un’occhiata all’istogramma ci assicurerà che le ombre non siano “bruciate” e irrecuperabili. (A dire il vero, neppure l’istogramma è infallibile, ma meglio che niente!)

Nessun dispositivo potrà fare questo lavoro di lettura delle immagini per noi. E meno male!

Un lavoro analogo a questo consiste nel tornare su scatti del passato e “leggerli” con occhi nuovi. Se siete determinati nella vostra formazione fotografica, vi accorgerete presto che quelle immagini che prima vi sembravano belle, perderanno il loro fascino e cominceranno a mostrare i loro difetti. È incredibile quanto la vostra percezione  del bello cambierà, nel tempo. E le prime a farne le spese, ve lo dico, saranno le tue stesse immagini. Scatti che un anno prima ti sembravano sensazionali, mostreranno tanti di quei difetti che quasi ti vergognerai di averle postate. Non preoccuparti, è normale. Anzi, è segno che stai sviluppando il tuo stile e il tuo gusto. Dobbiamo sempre essere aperti a questo tipo di critica, personale o esterna, per quanto, a volte, ci faccia sentire scarsi o inadeguati.

Come fotografi, noi saremo scelti e giudicati soltanto per il nostro gusto.

I soggetti davanti a noi sono persone

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Noi non fotografiamo oggetti, né case, né paesaggi. Se abbiamo scelto i ritratti, è perché ci interessano le persone. Lo ripeto, ci interessano, non ci servono. Non è una questione semantica: c’è un abisso tra interessarsi a qualcuno e usare qualcuno e penso che si colga già a livello lessicale. 

Trovo davvero difficile fare una foto a una persona di cui non so nulla. Anzi, non solo è difficile, non mi piace neanche! Per questo uso i momenti del “montaggio del set” per familiarizzare con chi ho davanti. Non solo per studiarmi l’aspetto fisico o il lato migliore (ci vuole un secondo per quello!) ma soprattutto per capire chi ho davanti: imparare subito il suo nome, scoprire qualcosa della sua vita, che lavoro fa, quali siano i suo hobby, la musica che ascolta, o anche solo di che umore è quel giorno. Tutti questi elementi non servono a  “far star bene” il soggetto. Questi elementi sono il soggetto e, che tu ci creda o no, saranno parte del risultato finale. Oltretutto, stabilire una buona relazione con chi ci sceglie per le sue foto, significa creare le basi per rapporti di lavoro futuri. Le persone possono avere bisogno di foto per decine di ragioni diverse: se si saranno trovate bene con te, non sentiranno mai il bisogno di cambiare.

Molte persone che conosco non sanno distinguere la differenza tra una buona foto e una foto eccezionale. Ma tutte le persone che conosco sanno distinguere la differenza tra una persona accogliente e una fredda, o peggio ancora, opportunista.

Le persone non tornano da noi per le nostre foto, ma per l’esperienza che gli offriamo. Di fotografi bravi ne esistono tanti. Di brave persone che fanno grandi foto, certamente meno. Tu da che parte vuoi stare?

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tags: Ritratto, Ritratto fotografico, Fotografia
Wednesday 03.17.21
Posted by Marco Mulattieri
 

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